LA GRANDE MAREGGIATA DEL 29 E 30 OTTOBRE 2018 A RAPALLO:
UN EVENTO NON DEL TUTTO ECCEZIONALE.
“Mi guardo intorno, ancora, là; la diga è come una barriera corallina, nella notte è una riga bianca, di spuma; il porto è pieno di barche che si scontrano, l’esterno è pieno di barche che si scontrano, il mare ogni tanto ci ricopre; posso dire solo una cosa: ogni tanto il mare fa vedere veramente chi comanda, la natura ogni tanto ti ricorda chi comanda davvero.”
Sono le parole del comandante del Sakara, uno dei circa 300 tra natanti, barche e yacht danneggiati, spiaggiati o semi affondati durante la devastante mareggiata che si è abbattuta con inaudita violenza su Rapallo tra il 29 ed il 30 ottobre 2018.
Fin dal mattino del 29 ottobre l’acqua in porto è alta, per chi è del mestiere non è un bel segno, significa che da qualche parte il vento soffia forte ed il mare sta spingendo.
Con il passare delle ore la situazione peggiora: il vento continua ad aumentare da sud, uno Scirocco incessante di 70/80 nodi, intensità eccezionale per Rapallo, la pressione scende e l’acqua marina fa segnare una temperatura di ben 20 gradi, molto più calda rispetto a quella dell’aria.
Nel primo pomeriggio le onde scavalcano le fragili difese del Porto Carlo Riva, fino ad abbatterne parte della diga foranea. È l’inizio del disastro.
Senza più alcuna protezione contro la forza delle micidiali onde da sud, non soltanto il porto, ma anche il lungomare della cittadina rivierasca vengono sferzati per ore dalla furia degli elementi, poiché a quella del mare si aggiunge anche la tremenda energia del vento, mentre il cielo si colora di un terreo colore rossastro.
Con il calare dell’oscurità, mentre le barche vengono strappate una ad una dagli ormeggi, 20 tra marinai e diportisti restano isolati sul pennello più esterno della diga portuale, completamente in balia delle onde e con l’ancor più serio rischio di essere travolti dalle barche stesse ormai alla deriva.
Il porto, rifugio per antonomasia di ogni uomo di mare, si era trasformato in una trappola; miracolosamente non si contano né vittime, né feriti.
La mattina del 30 ottobre i primi raggi di un timido sole mostrano ai rapallesi ed al mondo intero uno scenario apocalittico.
La diga del porto è letteralmente sparita, il faro non esiste più, dal mare emergono soltanto macerie e qualche scoglio.
Tutto attorno, un groviglio di barche accartocciate una sull’altra, prue che fanno capolino dall’acqua come tappi di sughero; decine di enormi yacht spiaggiati come balene sugli scogli del lungomare, mentre un’immensa distesa di rottami di ogni genere invade strade e piazze fino a lambire l’abitato.
Da quel giorno, per molti lunghi mesi, grazie all’incessante lavoro di chiatte attrezzate e mastodontiche gru, è stato possibile rimuovere tutte le imbarcazioni nonché detriti e materiali inquinanti adagiati sui fondali.
Ma com’è stato possibile tutto questo? È la domanda che un po' tutti ci siamo posti di fronte a questo scempio.
Abbiamo violentato il nostro pianeta in maniera criminale con ogni mezzo per secoli, fregandocene dei segnali di avvertimento ricevuti, abbiamo promesso di mettere la testa a posto per contrastare i cambiamenti climatici, riducendo le famigerate emissioni nocive, la deforestazione, la cementificazione e tante altre brutture; ma nel frattempo nulla è stato fatto in concreto, soltanto tanti, troppi “bla bla bla” dei potenti della terra.
Ma la cosa più grave è che, anche di fronte ad eventi come quello di Rapallo, all’onda emotiva iniziale fa seguito una sorta di rimozione psicologica che ci porta a dimenticare.
Ma se è vero che il cambiamento inizia anche da ciascuno di noi, possa dunque la Fotografia servire da monito per le future generazioni, affinché ciò che è già troppe volte accaduto, non si ripeta più.
Stefano Podestà