Adriano Cascio, di origine catanese ma Rapallino di adozione â si è infatti trasferito nel Tigullio nel 2006 per motivi di lavoro-, fotografa da una trentina dâanni. I suoi esordi artistici risalgono alla fine degli anni Novanta, quando fece i suoi primi scatti nella sua terra natale come fotoamatore. Nel 2002 Cascio vince il concorso come fotografo per la Marina, occasione che gli permette di continuare il proprio percorso lavorativo in tale veste. La sua produzione è stata caratterizzata da pause e riprese: si è avvicinato al collettivo Italian Street Photography, con cui ha organizzato workshop, esposizioni e pubblicato il magazine semestrale Cities. Si è inoltre autoprodotto pubblicazioni, ha realizzato libri in compartecipazione e mostre, tra cui una durante la prima edizione della Triennale a Venezia, unâaltra al Museo della Resistenza di SantâAnna di Stazzema, intitolata âAd Auschwitz câera la neveâ (con il gruppo Rapallino Officina fotografica indipendente) ed una personale nel 2023 dal titolo âArbeit macht freiâ presso il vivaio âIl Geranioâ. Fa parte del circolo âDietro a un vetroâ, attivo sempre a Rapallo, in cui si occupa principalmente di didattica â intesa sia come tecnica (ad esempio realizzazione di un portfolio) sia come presentazione di altri artisti e generi fotografici- e organizza laboratori di street photography. Nel 2022 è stato ammesso allâarchivio Sacs -Sportello per lâarte contemporanea della Sicilia del Museo regionale dâArte Moderna e contemporanea di Palermo. Spesso si trova a Genova per workshop e masterclass realizzati con diverse realtĂ . Di Adriano Cascio abbiamo cercato di capire il retroterra culturale e i tratti distintivi della sua arte.
Comâè nata la passione per la fotografia? âIn modo banale: un giorno mi sono trovato in mano una macchina fotografica e alcuni amici mi hanno introdotto nellâambiente. Uno di questi, Angelo Zaaven, non è stato solo il mio mentore ma mi ha insegnato tutti i rudimenti della fotografia, nonchĂŠ lo sviluppo e la stampa del bianco e nero che ho curato personalmente per circa tre/quattro anniâ. Nel 2000 ho partecipato alla realizzazione di una mostra e del relativo libro â il mio primo libro da fotoamatore -, chiamato âOtto fotografi interpretano Scordiaâ e introdotto da Pippo Pappalardo che mi ha definito cosĂŹ: âIl suo modo di fotografare, apparentemente istintivo ed immediato, in effetti è lo strumento di ricerca di uno spazio e di un tempo di ciò che ama definire lâanima fotografica. Attraverso la fotografia conduce su di sĂŠ una vera e propria indagine psicologicaâ.
Che cosa è per te scattare una foto? âSono un istintivo, scatto di pancia. Tendenzialmente ritraggo ciò che attira la mia attenzione. A volte parto con unâidea, che poi magari cambio in corso dâopera. Come diceva il fotografo Ansell Adams: âIl lavoro di ogni uomo rispecchia sempre la sua personalitĂ â. Ciò che noi mettiamo nelle foto, perciò, riflette sempre il nostro bagaglio culturale e di vita, come in un libro. In uno dei miei ultimi lavori cerco di raccontare le Feste di luglio a Rapallo ritraendo sia il sacro che il profano, in particolare i Cristi, i pellegrini a Montallegro colti in attimi di gestualitĂ quotidiana (il pellegrino che dorme, un altro con lo sguardo sul cellulare, uno con in mano un cero)
Quali sono i tuoi soggetti ricorrenti? âOmbre e luci, ne sono ossessionato, cosĂŹ come dalle persone. Definisco la vita quotidiana come un grande circo, dove i soggetti comuni sono gli interpreti dellâordinario, che con unâattenta osservazione viene trasformato nello straordinario Sono scene che spesso sono sotto i nostri occhi ma che abitualmente non vediamo perchĂŠ distratti da altre cose. Negli ultimi anni le mie foto piĂš tipiche sono contraddistinte da tagli di luce da dove sbucano visi, mani, soggetti o a volte anche parti di essiâ.
Che cosa ti piace di piĂš delle tue foto? âIl fatto che nascano dalla mia osservazione e dal mio istinto. Per me le mie âcreatureâ sono tutte belle. Non farei mai un classifica, come si dice in napoletano âOgni scarrafone è bello a mamma suaâ.
Come usi il colore e il bianco e nero? âQuando uso il colore ci deve essere un colore in particolare, perchĂŠ altrimenti lâocchio facilmente si distrae. Invece il âbianco e neroâ nasce un poâ nella testa: ci deve essere un netto contrasto tra luce ed ombra, non ci devono essere troppe gradazioni di grigio. Il âbianco e neroâ non è la semplice conversione di una foto a colori ma deve essere âpensatoâ
Quale ruolo gioca la luce nei tuoi lavori? âPer me è fondamentale, fotografia significa non a caso âscrivere con la luceâ. Questa importanza è particolarmente visibile in âPortraits of lightâ e âImperfect shadows. La luce non è altro che un filtro attraverso cui il fotografo interpreta la propria visione del mondo e dellâumanitĂ . Non a caso i volti dei soggetti ritratti escono dalla luce come se tendessero verso la fine di un tunnel immerso nellâoscuritĂ , che è poi la naturale tendenza dellâessere umano alla sopravvivenzaâ.
Defineresti le tue fotografie di contenuto realista? âDirei di sĂŹ, anche queste visioni della realtĂ oniriche, sognate, immaginate sono solo uno specchio che riflette me stesso, come dicevo allâinizioâ
Nel costruire il tuo stile ti sei ispirato a correnti o figure in qualche modo di riferimento? âSono un autodidatta. Subisco influenza da tutti e da tutte le cose, anche da foto altrui. Questâattrazione per le foto e le ombre si ritrova nella pittura fiamminga e in Caravaggio. Mi hanno accostato, in relazione alla street photography, al fotografo inglese Martin Parr, che effettivamente allâinizio ho preso a modello e che ammiro, per il lato ironico e surreale che trasmetto nelle mie fotografie. Sempre per il lato un poâ ironico mi ha influenzato Garry Winogrand; per i tagli netti di luce ad Alex Webbâ.